“Romanzo caporale”

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“L’obiettivo di questo lavoro, che è un agglomerato di storie nella storia, è educare a una corretta analisi della realtà. Gli stereotipi, il sentito dire, le fake news contribuiscono a generare disinformazione su temi nevralgici come l’immigrazione, lo sfruttamento del lavoro e il dominio degli occidentali sui Paesi del Terzo Mondo. La letteratura, in quest’epoca di apparenze e partecipazione a portata di clic, deve schiarire le idee ai popoli attraverso personaggi e trame folgoranti, che possono fungere da modelli per il miglioramento interiore”. Ecco perché e come nasce Romanzo caporale, il libro scritto da Annibale Gagliani, nato a Mesagne (Br) 27 anni fa, tante cose fatte ed un mare ancora da fare. Romanzo caporale, terzo libro che scrive, ha in copertina una foto si Massimo Bietti, fotografo internazionale premiato dal National Geographic, prodotto e distribuito da Amazon, finito di stampare da neanche un mese ha già un buon numero di vendite. La presentazione di Romanzo caporale avvenuta nella serata di lunedì nei giardini de La Capannina Villa Peripato è stata occasione per porre l’attenzione sul fenomeno del caporalato. Fenomeno antico che, purtroppo, ancora oggi non si riesce a debellare. Riuniti ad un tavolo Paolo Castronovi, vice sindaco di Taranto con delega alle politiche del lavoro; Luca Lazzaro, Presidente regionale Confindustria Puglia; Antonio Trenta, segretario provinciale UILA, Giovanni Di Maggio vice dirigente Squadra Mobile di Taranto operativo nella repressione del fenomeno e l’autore del libro. I lavori sono stati coordinati dalla giornalista Gabriella Casabona. Dal dibattito è emerso che di sicuro il caporalato va contrastato e punito e che ognuno deve operare per le proprie competenze. Castronovi: “L’amministrazione non ha poteri specifici sul fenomeno però di concerto con le altre forze può lavorare affinché la vita nelle campagne sia più dignitosa e si combatta il lavoro nero e lo sfruttamento”. Lazzaro: “Fra Taranto e provincia esistono circa 3.500 aziende agricole e oltre 30mila lavoratori. Di queste gran parte sono in regola, sono aziende sane, alcune le mele marce che vanno individuate, denunciate, punite. Quello agricolo è uno dei comparti trainanti della nostra economia, con prodotti d’eccellenza. Non è giusto fare di tutta l’erba un fascio ma è doveroso fare chiarezza con l’unico scopo di tutelare i lavoratori”. Trenta: “Il caporalato è una grossa piaga che potrebbe essere eliminata semplicemente andando a colmare quel tassello mancante che è rappresentato dal trasporto. Il caporale, infatti, oltre a reclutare manodopera è colui che con un proprio mezzo provvedere a trasportare i lavoratori dal punto di raccolta ai campi, pretendendo il pagamento dagli stessi braccianti. Se si facesse un accordo con una ditta di trasporti, con mezzi idonei e autisti regolari ne trarrebbero vantaggio in primis i lavoratori agricoli e sicuramente anche i datori di lavoro. Nello schema del caporalato il datore di lavoro è il mandante e il caporale l’esecutore. Il compito del sindacato è tutelare il lavoratore ma quando non c’è collaborazione è difficile operare”. Da circa cinque anni a questa parte con l’introduzione dell’art. 603 bis nel codice penale l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro è riconosciuto come reato punibile con la reclusione da cinque a otto anni e multe da mille a duemila euro per ciascun lavoratore reclutato. Ecco che laddove c’è un reato intervengono le forze dell’ordine. Di Maggio: “La Polizia di Stato, la Questura di Taranto ha costituito una task force, un gruppo di lavoro, con base a Taranto e diramazioni in tre comuni Martina Franca, Manduria e Grottaglie e che si occupa proprio del fenomeno del caporalato. Numerosi sono stati negli ultimi tempi i controlli effettuati nelle aziende e da cui sono scaturiti anche degli arresti. Non è facilissimo operare in questo settore perché spesso manca la collaborazione degli stessi lavoratori che sono costretti a lavorare in nero, quindi senza regolare contratto, o in grigio, con contratti che non rispondono alla realtà, costretti a subire il ricatto occupazionale: o così o niente. E in un momento in cui molti sono in difficoltà quei pochi soldi che si riesce a ricavare sono necessari. L’85% di coloro che lavorano nei campi sono donne, e per loro c’è anche lo spauracchio degli abusi sessuali. Per gli stranieri si aggiungono le gravi condizioni in cui vivono, gli italiani, i locali, a fine lavoro tornano a casa loro, per gli stranieri, soprattutto giovani, le condizioni di vita sono disumane”. Insomma un quadro a tinte fosche, un quadro che colpisce nella sua totale drammaticità e crudeltà. Uomini che schiacciano altri essere umani che si trovano in grave stato di bisogno. La terra, le campagne, le nostre coltivazioni hanno bisogno di amore. Amore verso il prossimo, amore verso chi lavora anche per 13/14 ore al giorno, per loro una giornata lavorativa che vale il doppio ma che economicamente frutta molto poco. Terra sporca di sangue, di fatica e sofferenza è questa oggi la nostra terra che deve tornare a vivere e produrre in serenità come un tempo quando tutti insieme, uomini, donne e bambini, allegramente andavano a raccogliere l’uva per poi farne vino. Una visione troppo bucolica? Di sicuro meglio dello sfruttamento di oggi. Cambiare si può, tutti insieme, la terra offre lavoro, manca la giusta organizzazione, quella che ora è nelle mani di persone ciniche, aguzzini, sfruttatori proprio come i caporali. Tornando al libro è ambientato sulla terra vermiglia della Cava di Bauxite, a Otranto, il suicidio narra, attraverso il flusso di coscienza, la vita da cacciatore di lucciole del protagonista che ricorda l’Alì dagli occhi azzurri di Pasolini. Un condottiero possibile del Kenya, animato da due modelli filosofici: don Donato Panna e Thomas Sankara. La corruzione politica del suo Paese lo costringe a fuggire in Italia col sogno di costruire un avvenire di pace per la sua famiglia. La disumana  navigazione nel Mediterraneo lo conduce in una terra intollerante, avvolta da buio impenetrabile. Ma lui, come Sisifo, porta il masso sopra la montagna. Diventa schiavo del caporalato ma non si arrende, sfida il fattore C sedimentato tra le sinapsi della gente comune. La tragedia, dalla sequenza circolare, ha due insegnanti autorevoli: la storia e il dolore. Il giovane antieroe, senza nome (sarò il lettore a dargliene uno) è l’effige più lucida dello stoicismo di Seneca.

 

Gianfranco Maffucci

Sottufficiale Marina Militare in pensione- fondatore associazione culturale Delfino Blu (1996), promotore per 8 anni consecutivi Premio Città di Taranto, premio rivolto ad artisti, pittori scultori, artigiani, fotografi, provenienti da diversi paesi esteri, premi di poesie. Mostre d’arte varia. Cofondatore blog Blufree. Appassionato da ragazzo di fotografia. Aderisce da anni ad una associazione di Templari (solidarietà e beneficenza)